BRUNETTO PIOCHI -
Università di FIRENZE
DAI CONCETTI MATEMATICI ALLE RAPPRESENTAZIONI
Desidero mettere a premessa di questo intervento un’affermazione
di fonte insospettabile, provenendo da una commissione ufficiale del Ministero
della Pubblica Istruzione e tratta da un documento alla cui stesura non ha
collaborato alcun matematico:
"Un’attenzione particolare e profondamente
innovativa sul piano metodologico va riservata all’insegnamento della
matematica, che attualmente registra, soprattutto a partire dall’attuale
scuola media, il maggior numero di fallimenti, a cui si aggiungono un gran
numero di esiti al limite dell’accettabilità".
In un intervento al secondo Convegno su "Matematica e
difficoltà" tenutosi nel 1993 a Castel S. Pietro Terme (BO), V. Villani
cercò di individuare quelle che possono essere alcuni ostacoli specifici all’apprendimento
della matematica, sottolineando fra gli altri i seguenti punti:
- Terminologia e simbolismo
- Tecniche di calcolo
- Sequenzialità stretta fra i diversi argomenti
- Traduzione dal linguaggio naturale a quello matematico
- Astrazione e rigore.
Si tratta come si vede chiaramente, di nodi che hanno un
forte impatto sull’insegnamento della materia. Tuttavia, vorrei riportare qui
due pareri di studiosi in Didattica della matematica, pareri che mi sento di
condividere e che sottolineano due diversi rischi in cui il ‘non addetto ai
lavori’ può agevolmente cadere.
"Fare matematica non significa, come generalmente si
intende e come si è appunto imparato purtroppo a scuola, ridursi a sole
attività di calcolo, tanto più oggi che le calcolatrici tascabili e gli
elaboratori elettronici ci liberano dalla noia dei calcoli ripetitivi. E non
significa neppure imparare soltanto che la somma degli angoli interni di un
triangolo è di 180° o che il volume del cono si trova moltiplicando l’area
di base per un terzo dell’altezza, tanto per fare qualche esempio. Ciò che
interessa è l’acquisizione della mentalità matematica nei suoi vari
aspetti".
"I non addetti ai lavori sono talvolta indotti ad
identificare il carattere astratto della matematica moderna con il simbolismo di
cui essa si avvale. Ogni disciplina ha il suo linguaggio: quello matematico è
certamente molto specializzato e spesso in forma eccessiva, quasi narcisistica.
Ma i simboli e le formule non sono ‘la matematica’: questa è data dai
concetti e dalle relazioni che quelle formule esprimono".
Dunque il nodo dell’apprendimento della matematica (ad
ogni livello !) sono i concetti, a cui lo studente dovrà fare riferimento
mediante una opportuna rappresentazione. Di solito l’insegnante presenta i
concetti matematici attraverso una combinazione di due diversi tipi di
approccio: quello ‘rigoroso’ in cui, mediante assiomi, definizioni, teoremi,
si costruisce l’universo formale su cui lavorare; quello ‘intuitivo’ nel
quale lo studente viene stimolato ad associare ad ogni concetto un’immagine
personale, incitando in altre parole lo studente a costruirsi un ‘universo
soggettivo’ a cui riferire la teoria. Per una buona interiorizzazione tuttavia
bisogna che le nozioni rigorose, spesso astratte e difficili da immaginare,
collimino perfettamente con la rappresentazione soggettiva: l’ostacolo più
grande sta proprio nel trovare questo equilibrio, difficile soprattutto laddove
si lavori sopra strutture astratte, spesso inaccessibili ai nostri sensi,
cosicché solo la mente può fornirci una immagine, una rappresentazione, una
‘visione’ adeguata di esse. Già Platone nella "Repubblica"
scriveva a questo proposito che "[i matematici] si servono di figure
visibili e ragionano su queste, che non sono tuttavia quelle che essi hanno
davanti alla mente, ma ne sono le immagini. Nei loro ragionamenti ad esempio è
del quadrato in sé e della diagonale in sé che intendono discorrere, non già
del quadrato e della diagonale che disegnano; in realtà cercano di vedere
appunto quelle cose che non scorgono altrimenti se non nel pensiero".
Come si vede, intervengono qui due temi di cruciale importanza, il rapporto ‘sintassi-semantica’
e quello fra realtà concreta e ‘intuizione’ matematica. E’ da una
corretta interazione fra questi aspetti che il concetto nasce, viene pienamente
compreso e trova una sua corretta rappresentazione.
Per sintassi si possono intendere i simboli (ed il modo di operare su di
essi), per
semantica gli oggetti e le situazioni che quei simboli denotano;
naturalmente la situazione varia con il passare degli anni: alle Elementari i
numeri sono oggetti sintattici, perché sono simboli che si contrappongono agli
oggetti concreti, mentre ad es. quando si passa all’algebra i numeri
costituiscono la semantica delle espressioni letterali. Il legame
sintassi-semantica viene raramente affrontato a scuola e forse non ha neppure
senso affrontarlo in forma esplicita: si tratta di concetti di logica
indubbiamente difficili, ma con importanti riflessi nella pratica didattica.
"In sostanza lo studente deve imparare a distinguere i casi in cui può
rispondere alle domande rimanendo a livello semantico da quelle situazioni in
cui invece è meglio lavorare a livello sintattico. Più in generale deve
imparare a controllare con interpretazioni semantiche i risultati, anche
parziali, che ha ottenuto operando sui simboli".
Anche a proposito del rapporto concreto-astratto, non è
detto che si debba privilegiare un approccio concreto in tutti gli argomenti di
matematica: in effetti giochi (anche software...) e racconti fantastici sono
decisamente astratti, mentre i tradizionali esercizi su botti e rubinetti, o su
campi da recintare e pareti da verniciare sono sì concreti, ma non suonano
certo familiari ai ragazzi, nel senso che non si inseriscono in un loro vissuto
personale.
"Non credo si debba temere che l’astrazione sia sempre, di per sé, un
elemento di difficoltà. L’importante è, a mio parere, che in ogni occasione
sia chiara una semantica (non necessariamente concreta), cioè che venga
attribuito un ‘significato’ ai simboli, alle parole, ai discorsi"
Per quanto riguarda il secondo aspetto richiamato sopra, in generale si intende
per ‘intuizione matematica’ la capacità di prevedere risultati, di
visualizzare situazioni e configurazioni geometriche, di riconoscere analogie,
di individuare a priori lo strumento che risulterà efficace in un esercizio. Si
parla anche di ‘pensiero anticipatorio’ per denotare il processo mentale di
chi è impegnato a risolvere un problema, il quale è in grado di ‘prevedere’
il percorso che lo porterà alla soluzione, anche se in realtà questa arriverà
concretamente al termine di una lunga sequenza di operazioni. Egli intuisce che
la catena di calcoli che sta per iniziare lo condurrà alla meta, ma non è
detto che sia in grado di tradurre a priori il suo ragionamento in una sequenza
logica di passaggi.
Mi limiterò qui a richiamare il punto di vista piagetiano che vede l'intuizione
come una forma di conoscenza precedente rispetto al pensiero operativo, ma
comunque sempre presente di fronte ad un ‘nuovo’ non padroneggiato. Il
bambino, cumulando esperienze psicomotorie e percettive, diventa (e rimane)
capace di un pensiero di tipo sincretico: salta i nessi esplicativi che
funzionano in nuce, mancano i collegamenti logici, temporali, spaziali,
di causa effetto, nel senso che non si rendono espliciti. Il pensiero esplicito
convive, cioè, con quello sincretico e questo continua anche nell'adulto.
Nel pensiero anticipatorio’ il soggetto compie in realtà nella sua mente un
processo che rielabora e rivive esperienze precedenti, rileggendole alla luce
della situazione nuova che sta affrontando: questo gli permette di ‘prevedere’
la strada, semplicemente percorrendo in anticipo un sentiero più volte
percorso. Tuttavia è bene tenere presente che "non potremo sperare che un
ragazzo ‘intuisca’ una soluzione se non ce lo abbiamo preparato, se non lo
abbiamo abituato ad un lavoro che comprenda analisi di esempi particolari,
risoluzione di esercizi e loro discussione con i compagni, riconoscimento di
analogie, proposta di ipotesi, possesso di tecniche di verifica. Inoltre
l'intuizione, come qualsiasi abilità, richiede di essere esercitata e
stimolata: l'insegnante dovrebbe preoccuparsi di provocare continuamente i suoi
allievi ad avanzare ipotesi e a metterle alla prova, osservando esplicitamente
che questo procedimento prevede, anzi esige che si commettano errori".
Si noti che quanto sopra detto riguardo l’intuizione può ugualmente
applicarsi a situazioni fortemente astratte, purché vi sia sufficiente agilità
mentale nel trattare oggetti simbolici appunto quali entità semanticamente
significative. "Quando si comincia ad interessarsi ad una teoria che prima
non era nota, non se ne ha alcuna intuizione e si è del tutto incapaci di fare
per proprio conto ragionamenti analoghi a quelli che si leggono. Poi, a poco a
poco il velo si solleva ! [...] Io credo che il matematico si crei immagini
puramente mentali di tali enti..., in altri termini l’astrazione può essere
utile al costituirsi dell’intuizione, piuttosto che contribuire alla sua
paralisi" .
Cerchiamo ora di comprendere come intuizione, astrazione, sintassi e semantica
intervengano nell’acquisizione di un concetto matematico, utilizzando il
modello introdotto da S. Vinner nel 1983 attraverso le due nozioni di definizione
del concetto e di immagine del concetto.
Di ogni cosa, reale o astratta che sia, di cui conosciamo il significato,
abbiamo anche una certa immagine. Essa comprende tutto quello che l’oggetto ci
richiama alla mente, quindi ogni sua rappresentazione visiva e ogni sua
caratteristica. Tutt’altra cosa è la definizione di un concetto, con la quale
vogliamo significare una esposizione verbale che delucidi accuratamente una
nozione, a partire da altre precedentemente supposte note. Accade di avere ben
chiara l’immagine di un oggetto senza che se ne conosca la definizione
formale: fin da bambini ad es. abbiamo impresse nella mente le mozioni di
arancia, casa, treno, ecc. senza che nessuno abbia provveduto (e per molto
tempo, forse per sempre, nessuno lo farà) a fornircene una definizione formale.
Anzi, se ciò avviene in un secondo tempo, è possibile che si verifichi uno ‘scontro’
con l’immagine ormai formata mediante varie esperienze.
Se però diamo una definizione di un concetto totalmente ignoto (cioè di cui
non esiste alcun ‘disegno mentale’) esso rischia di restare inattivo e
persino di essere dimenticato dal soggetto che lo recepisce. Tale pericolo viene
corso dai concetti matematici, di cui gli studenti raramente hanno una ‘immagine
mentale’ preesistente rispetto a quella proposta dall’insegnante.
Se l’insegnante decide di dare prima di tutto la definizione formale si
attenderà che i ragazzi, con una successiva rielaborazione della nozione,
generino una personale ‘immagine mentale’, la quale sarà giudicata corretta
se fedele alla definizione data. E’ tuttavia possibile ipotizzare anche il
passaggio inverso, cioè dal disegno mentale arrivare ad esprimere la corretta
definizione del concetto. Lavorare in una classe con questo fine è il metodo
migliore per sperare che i ragazzi assimilino la matematica, ma è pure vero che
un simile approccio richiede molto impegno e attenzione sia da parte di chi
insegna che di chi impara. Secondo il Vinner il miglior metodo di apprendimento
di un concetto è quello che, a partire da un lavoro cognitivo giunge alla
scoperta e alla formalizzazione del concetto stesso, la cui definizione
interagisce con continuità con l’immagine che gli studenti si sono formata,
fino a costituire un unico ’blocco concettuale’.
Il Vinner identifica anche alcuni modelli errati, sottolineando come
spesso gli insegnanti (in perfetta buona fede, si noti !) tendano ad adottarli al posto di
quello sopra citato:
- il concetto viene definito formalmente, ma non genera
alcuna immagine mentale; lo studente ripete a memoria la definizione, pur
ignorando il suo significato, cioè capendo a malapena quello di cui sta
parlando
- la definizione formale attiva la fantasia, la quale
però si forma una propria immagine del concetto non necessariamente
coerente con la generalità, cosicché alla lunga la definizione formale
passa in secondo piano e il processo cognitivo si ferma o devia
- lo studente si trova davanti ad una definizione quasi
priva di senso intuitivo. Allora l’insegnante o il libro di testo stesso
forniscono esempi specifici affinché l’immagine si formi; la definizione
a questo punto diventa inattiva e spesso dimenticata
Come credo emerga bene da queste brevi considerazioni, il
possesso di un concetto matematico equivale alla capacità di dominarne, a
livello sintattico e semantico, una rappresentazione mentale che contemperi gli
aspetti definitori e applicativi inerenti al concetto stesso. Tale
rappresentazione non può che nascere da un confronto fra la definizione formale
e le esperienze reali (concrete o astratte, ma comunque significative per chi
apprende). Da questo punto di vista la presenza di un deficit sensoriale non
può essere ritenuta (e di fatto non è) di ostacolo all’impadronirsi dei
concetti matematici, ma certamente richiede da un lato una ricerca di strumenti
tecnici che aiutino a compensare il deficit, dall’altro una riflessione su
quali siano, per ciascun concetto considerato, gli aspetti realmente
significativi su cui puntare l’attenzione ed a cui appoggiarsi, dedicandovi il
maggior sforzo per realizzare la necessaria sintesi.
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